Bike to work, tra modello belga e ritardi tutti italiani

Il bike to work in Italia arranca in salita: meglio puntare di più sul modello belga, basato su incentivi economici anche tra loro cumulabili.

A #Opinionincluse ne ho parlato in collegamento streaming con quelli bravi sul serio: Francesco Baroncini, già direttore Fiab (Federazione Italiana Ambiente e Bicicletta) e ora membro del consiglio di amministrazione di Ecf (European Cyclists Federation), Michele Bernelli, collega decano e direttore responsabile di BC, rivista ufficiale Fiab che al tema del bike to work ha dedicato una bella pagina proprio con un articolo a firma dello stesso Baroncini, e Claudia Provenzano, presidente di Fiab Roma Bici PA che tutti i giorni assieme al suo gruppo di dipendenti pubblici va e viene dal lavoro in centro città usando solo le due ruote attive.

 

Il Mondo 30 ‘strillato’ con una copertina ‘intelligente’

Ho rivolto anzitutto i complimenti al direttore Bernelli per la copertina dell’ultimo numero di BC: una figata di creatività, realizzata in ticket tra i suoi Art Director e una delle app di Intelligenza Artificiale che tanto animano il mondo web attuale . Uno ‘strillo’, come scrive nel suo editoriale di apertura, sul Mondo 30 a sua volta ancora «in divenire», per un futuro «ancora da disegnare».

 

«L’idea alla base di questa copertina – spiega Michele Bernelliera quella di provare a raccontare la complessità del concetto di Città 30, troppo spesso ridotto a semplice limite di velocità. Volevamo raccontare il vero obiettivo, cioè una nuova democrazia della strada, una condivisione dello spazio pubblico in cui tutti possano muoversi in sicurezza: per esempio nel bike to work quotidiano».

Il Bike to work visto da Bruxelles

Andare al lavoro in bici è un tema assai caro anche a Francesco Baroncini, che spiega perché chi ha ben cominciato (ad esempio in nord Europa) sia già a metà dell’opera. «L’Italia è partita un po’ più in ritardo di altri. Non c’è nessun segreto nel dire che gli olandesi non sono nati ciclisti, ma hanno semplicemente cominciato ‘a lavorare sulla bici’ al tempo della crisi petrolifera negli anni Settanta. Cominciando prima di noi hanno avuto più tempo per evolversi».

Quindi il passaggio sul modello belga. «La Federazione Europea (Ecf, ndb) ha sede a Bruxelles e in Belgio da quest’anno chiunque voglia andare al lavoro in bici riceve una quota di 25/27 centesimi di euro al km per un massimo di 40 chilometri. Chi va al lavoro viene ‘compensato’ e quindi ringraziato perché evita di inquinare ed evita il traffico e un sacco di costi sociali».

Fiab Bici PA, dipendenti pubblici pionieri da far west nella capitale d’Italia

Poi c’è l’altra faccia della Luna, quella di chi vive a Roma e in gran parte delle città italiane, che vorrebbe (di più) ma non può. E allora si butta (sì:butta!) comunque in strada, crea visibilità e (finti) problemi, poi tira dritto e (se Dio vuole) arriva in ufficio. Lo avevo già fatto tempo addietro, ma mi è sembrato opportuno rimettere in circolo le immagini che – tragicomicamente –  evidenziano quanto sia bella Roma in bicicletta e al tempo stesso le milleuno difficoltà a cui va incontro chiunque scelga di muoversi in modo diverso dalla massa.

Claudia Provenzano di Fiab Bici PA e i suoi hanno fegato da vendere: ogni giorno percorrono chilometri e chilometri di strada in mezzo al traffico di auto, eppure non tornerebbero mai indietro perché un altro modo è possibile. E voi?

 

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