Il Bike to School è il fanciullino dentro di noi, anche senza la sottile linea rossa disegnata a terra

Il Bike To School esiste, esiste davvero. E’ racchiuso in ciascuno di noi, è il nostro fanciullino pascoliano che gioca sempre: prende prima forma e poi sostanza, ma solo se noi lo vogliamo. Così… senza attendere che il politico illuminato di turno, mosso da chissà quali esigenze, ci venga a dipingere una striscia rossa sotto casa.

Succede anche stamattina, succede anche con quattro gradi e mezzo alle otto e un quarto, che non esiste un cattivo tempo ma soltanto un cattivo equipaggiamento. Non siamo proprio in città e ogni giorno ti capita di passare tra un bosco e qualche condominio a misura di famiglia, respirando un’aria ‘squarciapolmoni’ e non ‘infiammagole’ di strade violentate da traffico o…scappamenti vari.

Succede a me, che lo desideravo da molto tempo, e succede pure a mia figlia di sette anni e mezzo. Lei, poi, la mattina non vuole mai alzarsi per andare a scuola, lo fa solo se le prometto che ci andremo in bicicletta. Dio quanto l’ho voluto ‘sto momento!

«È dentro noi un fanciullino che non solo ha brividi, ma lagrime ancora e tripudi suoi», ci dice appunto Giovanni Pascoli nell’incipit del suo meraviglioso lavoro intellettuale che sembra scritto un’ora fa e invece è del 1897! E nell’attesa che il BtS pedali sempre più con le gambe proprie, ricordiamoci chi siamo, da dove veniamo e cerchiamo di ascoltare più spesso il fanciullino che pulsa in noi. Non in chiave egoistica, ma piuttosto provando ad accontentarlo, a gratificarlo. Andare in bicicletta è un’esperienza che il più delle volte si coltiva da bambini, da adolescenti, e poi, spesso, si butta nel cesso della nostra crescita seriosa, ossequiando i canoni imposti da una società improntata su una dose sempre più crescente di arrivismo, opportunismo e, dai..scriviamolo, autocentrismo.

Niente Don Chisciotte, ribadisco per l’ennesima volta sul ‘blogghetto degli appunti’, come niente mi scaglierà, lancia in resta, contro suv e crossover non a vento ma comunque ibridi, nei cui abitacoli però ristagnano, sfiniti già di buon mattino, persone comuni, padri e madri di famiglia.

A loro, piuttosto, linkerei un breve video di mia figlia mentre ha ancora gli occhi chiusi di sonno e di sogni affamati: pur di salire in sella, anzi sul sellino, abbozza un’espressione di sorriso, si sveglia e sprinta a lavarsi. Quindi si veste e fa colazione come Ugo Fantozzi quanto è in ritardo per andare in ufficio. Solo che, a differenza di lui, noi (e quelli come noi) non ci buttiamo dal balcone della nota tangenziale romana sopra la Via Prenestina pur di non perdere l’autobus ormai ricolmo di travet. Noi vogliamo, aneliamo, auspichiamo, una vita migliore(!). Del resto lottiamo ogni giorno per questo.

Sognatori o coglioni, chi lo sa? Intanto che ci pensiamo su cresciamo insieme, badando a lasciare ‘piccolo-piccolo’ il fanciullino che è in noi «accendendo negli occhi un nuovo desiderare», cosicché «egli vi tiene fissa la sua antica, serena maraviglia».

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