Bicicletta a pedalata assistita e incidenti, l’esperto Fiab: «In città solo Zone 30, le 50 siano un’eccezione e non la regola». La differenza con l’Olanda

Bicicletta a pedalata assistita e incidenti, molto interessante l’articolo sul Nl Times a proposito della sicurezza stradale. Anche i colleghi olandesi, nonostante la fortunata emancipazione a due ruote avvenuta decenni fa e tuttora in corso nel loro Paese, sono chiamati a raccontare le tragedie in strada quando si verificano e hanno anche loro difficoltà a trovare una giustificazione univoca ai numeri (in rialzo) di questi sinistri.

Il neurologo Marcel Ariës nell’Unità di Terapia Intensiva di Maastricht UMC vede un aumento esponenziale degli incidenti in bicicletta: «Lesioni alla testa, traumi cerebrali, distorsioni al collo,  emorragie addominali, fratture estese», dice. «Nell’ultimo anno abbiamo avuto sei e-biker con gravi lesioni cerebrali. Nessuno indossava il casco. La maggior parte di questi è deceduto».

In totale, lo scorso anno sono morti in incidenti stradali 229 ciclisti, 26 in più rispetto al 2019 e il numero più alto in 25 anni. Il 32% dei decessi in bicicletta ha coinvolto una e-bike, rispetto al 28% nel 2019. Nel 2020, quasi tre quarti degli incidenti mortali in bicicletta hanno riguardato over 60. Un bollettino di guerra anche nella patria della bicicletta, soprattutto a pedalata assistita visti i recenti dati vendita. E il dibattito si è acceso: da una parte molti medici a sostenere l’obbligo del casco, dall’altra diversi esperti che invece continuano a interrogarsi se per risolvere il problema basti solo mettere in sicurezza la testa.

Amsterdam, il sogno nel cassetto di chi vive una vita a due ruote

Se l’autista è indisciplinato il casco da solo non basta

Breve opinione: Il casco può al massimo risolvere, o comunque, arginare (quando va bene e in determinate condizioni, ndb) il fenomeno delle morti in strada, ma non può debellarlo. Ripararsi la testa non risolve del tutto il problema, soprattutto in caso di auto che superino i limiti di velocità oppure quando il conducente si distrae o non rispetta la distanza di sicurezza.

L’auto veloce, il problema dei problemi, è entrata anche nel mirino del professore Marco te Brömmelstroet, docente di Urban Mobility all’Università di Amsterdam. «Ironicamente pensiamo che la sicurezza stradale sia assai importante, ma non vogliamo parlarne se significa fare qualcosa per il vero pericolo per la sicurezza stradale: l’auto veloce». Un virgolettato che si potrebbe senz’altro ascrivere a qualsiasi esperto di mobilità italiano. «La bicicletta – prosege il prof. Te Brömmelstroet- non è intrinsecamente pericolosa. In molti dei casi, ci concentriamo sulla vittima, ma in realtà dobbiamo prima affrontare il conducente e il traffico stradale».

La Tweede Kamer, la Seconda Camera ( o Camera Bassa) degli Stati Generali olandesi, l’organo in cui ha luogo la discussione sulla legislazione proposta e la revisione delle azioni del Gabinetto, sarebbe favorevole alla proposta di separare definitivamente le auto dalle bici in strada e a introdurre nuovi limiti (al ribasso, ovvio) di velocità. Tutto il mondo è paese.

Nelle città italiane andare a 50 in città dev’essere un lusso!

Anche da noi il dibattito sull’importanza di piste e corsie ciclabili è sempre aperto. «L’Olanda ha una mortalità di ciclisti per numero di abitanti superiore ad altri paesi UE e anche all’Italia, ma ha una mobilità ciclistica notevolmente superiore e un rischio individuale per ogni ciclista pari a 13 morti per miliardo di km percorsi: il più basso a livello mondiale e meno della metà rispetto all’Italia», commenta a Vita a due Ruote l’ingegner Edoardo Galatola, responsabile sicurezza Fiab.

«Ne consegue che le ipotesi di separazione totale proposte in Olanda possono essere di interesse per loro (anche se non condivisibili) che hanno una rete ciclabile molto diffusa, mentre per noi è molto più importante incentivare la mobilità ciclistica e far convivere in sicurezza mobilità non motorizzata e mobilità motorizzata. La strada principe è la moderazione del traffico e lo strumento è quello di rendere le nostre città a priorità zone 30, dove le strade a scorrimento veloce (50) siano l’eccezione e non la norma». Galatola cita lo studio BMJ 1986-2006 su Londra, che ha dimostrato come questi interventi permettano di raggiungere il dimezzamento del numero di morti. «Solo per le strade a elevato scorrimento ha senso pensare alla separazione, ovvero alla realizzazione di percorsi ciclabili. In extraurbano il principio della separazione diventa nuovamente prioritario in presenza di velocità di percorrenza più sostenute, ma anche qui – conclude l’esperto Fiab – sarebbe possibile dare enorme impulso alla mobilità ciclistica (e di conseguenza alla sua sicurezza) riqualificando le strade locali di tipo F (vicinali, di servizio, etc.)  con principi analoghi a quelli delle Zone 30 cittadine».

Questo è quello che bisogna fare: punto! Nella realtà di tutti i giorni, invece, assistiamo ancora a deliranti spot automobilistici che inneggiano all’agilità nel bel mezzo del centro urbano (per l’occasione ovviamente deserto!) o addirittura Motorshow con bolidi installati davanti al Duomo di Milano. Non funziona (o perlomeno non dovrebbe funzionare) più così.

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