Boom di bici elettriche (Ancma) ma infrastrutture scarse. Crescono i ‘no’ di quartiere

Tira su il morale leggere che le bici elettriche, o meglio le ebike, facciano da traino al mercato bici. Secondo le stime diffuse da Confindustria ANCMA (Associazione Nazionale Ciclo Motociclo Accessori), il 2020 è stato l’anno delle due ruote: in aumento i dati delle bici tradizionali (+14% sul 2019) con quasi 2 milioni di pezzi venduti ( 1.730.000) e, appunto, le eBike. Rispetto alle ‘muscolari’ si tratta di numeri assai più contenuti (280mila), ma l’anno scorso ne sono state vendute pur sempre il 44% in più dell’anno precedente. Da questo punto di vista è boom. Tutte rose e fiori? Non proprio.

Questa voglia di due ruote, infatti, ancora tarda a combaciare con l’offerta infrastrutturale dell’intero sistema Paese. La dotazione di piste ciclabili, bike lanes, bike box, colonnine di ricarica e, più banalmente rastrelliere, rimane ancora insufficiente rispetto al fabbisogno di ogni tipo di ciclista: urbano, tattico, della domenica e chi più ne ha più ne metta. Resta deluso perfino il monopattista, che a sua volta, nello stereotipo del ciclista medio, viene ancora visto come fosse un minotauro: un po’ testa di cavolo sopra un corpo di adolescente o hippy.

Al di là della lotta (all’indipendenza stradale) tra ciclisti e monopattisti, però, resta evidente come se da una parte la domanda di maggior mobilità dolce cresca ogni giorno, dall’altra ci siano milleuno problemi nel provare a realizzare infrastrutture leggere per agevolarne il flusso quotidiano di chi le acquista. Un motivo su tutti? L’inerzia politica registrata sul tema della mobilità dolce fino a poco tempo fa. Infatti, mentre in molti Paesi, soprattutto quelli del nord Europa, si è investito in passato e tuttora si continuano a investire ingenti somme per consentire di vivere in modo decente nei grandi e nei piccoli centri urbani, da noi ci si è accorti del problema, in media, da poco più di un anno. E adesso è tutta una rincorsa.

Bici elettriche e da passeggio: fondi sufficienti?

Il Covid, in questo senso, non ha fatto altro che accelerare le particelle di amore e odio verso il mondo delle due ruote: da una parte la gente comune che, bonus mobilità alla mano, ha assaltato i negozi (anche virtuali) di bici e monopattini; dall’altra, invece, chi di bici e mono proprio non vuol sentir parlare e anzi chiede di potersi continuare a muovere in auto, in scooter o, al limite, utilizzando il mezzo pubblico. Poi ci sono le istituzioni: Governo ed Enti Locali. L’Esecutivo dopo aver stanziato 215 milioni di euro per il sopracitato bonus, sul piatto ne ha messi altri 137milioni attraverso il Ministero dei Trasporti per progettare e realizzare ciclovie urbane e ciclostazioni. Molti soldi? Sarà. Senz’altro ci sono parecchie bocche da sfamare, considerando che tra i destinatari, oltre ai Comuni capoluogo di città metropolitana, Provincia o Regione e i Comuni con popolazione residente superiore a 50mila abitanti, vanno aggiunti i Comuni che hanno adottato o approvato un Pums, ovvero un Piano urbano della mobilità sostenibile. A occhio è come calare in pentola mezzo chilo di pasta quando a tavola hai 10 persone che aspettano con una fame da lupi.

Intanto continuiamo, come tutti, a fare i conti con il Covid 19. A proposito, secondo le stime della European Cyclists Federation (Ecf), dopo il lockdown sono stati annunciati nel Vecchio Continente oltre 2.300 km di nuovi tratti, mille dei quali già realizzati, con oltre un miliardo di euro di investimenti. In Italia sono stati realizzati circa 190 km di piste ciclabili pop up, con Milano a fare da locomotiva grazie ai suoi 35 km messi a terra.

Ma è ancora poco, troppo poco, senza contare che cresce l’opposizione alla ciclabilità da parte di numerosi comitati di quartiere in molte città italiane. Al momento Roma e Genova sono saldamente in testa. Tralasciando un attimo la capitale, qui sul blog la cito troppo spesso, fa impressione accorgersi che nella splendida città dei vecchi vicoli e moli cantati da Fabrizio De André cresca un ‘No’ grande così alla ciclabilità lungo alcune strade. Un no verso ‘le piste ciclabili d’intralcio alla viabilità’ ordinaria’, soprattutto su alcuni tratti stradali, espresso da migliaia di iscritti sul relativo Gruppo Facebook, mica bruscolini. Senza dubbio hanno le loro ragioni e le stanno esprimendo attraverso comunicati stampa come questo, nel quale, tra l’altro, si chiede di dare strada anzitutto a scooter e moto, possibilmente anche sulle corsie preferenziali degli autobus. Niente ‘viabilità dolce’, perlomeno in molti casi, intesa come una ‘rivoluzione copernicana’ che al momento “sta favorendo soltanto una media di 57 biciclette al giorno a scapito di migliaia di utenti tradizionali”. Di là, invece, troviamo il Gruppo Genova Ciclabile che, ovviamente, è di opposto avviso e difende a spada tratta il mondo delle due ruote dolci come la chiave di volta per scardinare il grave problema del traffico sotto la Lanterna. Una partita complessa quella di Genova. In realtà una partita complessa per l’intero Paese, in cui però la domanda di bici e monopattini, questa sì che è l’unica certezza, continua a crescere sempre di più.

 

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