Coronavirus e bicicletta, benvenuta normalità

Il rapporto tra coronavirus e bicicletta è intimo, più di quello che si pensi. Il virus è un acceleratore sociale e non ha ‘risparmiato’ neppure il mondo delle due ruote. E adesso quale mobilità ci attende? Proviamo a scoprirlo insieme.

Case avanzate, piste ciclabili transitorie pedalate in controsenso, non contromano. Già alcune nozioni di semiotica applicate alla circostanza, ci fanno comprendere meglio il cambiamento civico che è in corso in questi mesi. Perfino nel corso di questi ultimi giorni e che sta portando una certa normalità.

Da nord a sud: Milano, Roma, Napoli e un bel pezzo di Puglia stanno abbracciando con intensità pedali e monopattini elettrici a discapito delle quattro ruote. Ora soffermiamoci sulla locomotiva e sulla capitale d’Italia. Pur con tutta la drammaticità del momento, nell’una e nell’altra proseguono i lavori per realizzare (alcuni) chilometri di piste ciclabili transitorie, ovvero progettate per agevolare il transito di una veicolarità alternativa (e nell’auspicio definitiva) rispetto a quella dell’automobile privata. Ecco che dal centro alle periferie, in queste due metropoli si sta provando, sperimentando un nuovo modo (io scriverei antico visto che risale alla fine dell’Ottocento) di spostarsi da un punto all’altro: a due ruote ma con andamento lento. Dunque basta anche allo scooter e dentro tutto il resto.

Tuttavia non sono certo rose e fiori. Molti, commercianti in testa, continuano a boicottare percorsi ciclabili realizzati, ad esempio, riportando un po’ d’ordine civico ed eliminando alcune decine di posti auto che non sempre, ma il più delle volte non avevano neppure ragione di esistere. Parcheggi inventati approfittando dell’impossibilità da parte delle rispettive Polizie Locali di governare, monitorare, disciplinare l’intero territorio. Città da questo punto ingovernabili per dimensioni e toponomastica. In più mettiamoci pure l’attuale stato di arretratezza culturale che alberga nell’italiano e automobilista medio e avremo scenari di lamiere e autorimesse a cielo aperto. Ovunque.

Da qui arriva l’insofferenza di una parte (ancora risibile) della massa, le cui dimensioni il più delle volte coincidono con quelle dell’utenza fragile: pedoni, ciclisti e monopattisti. Una costellazione fatta di studenti e liberi professionisti tra i 25 e i 50 anni, che a muoversi come ci si muoveva nel boom degli anni Ottanta proprio non ci stanno. Troppi i costi, anche e soprattutto quelli cognitivi. Lo sforzo quotidiano di salire in auto, rimanere imbottigliati nel traffico pur di percorrere dagli 800 metri circa ai 5 kilometri al massimo (questi più o meno i flussi per cui ci si condanna a muoversi a 4 ruote), litigarsi il mezzo avanti e di lato con il vicino di corsia, il timore di toccare o tamponare oppure di essere tamponati. E tralasciamo i costi reali: bollo, assicurazione, carburante.

Ecco perché alla fine il coronavirus sta accelerando le particelle sociali dentro il tubo del terzo Millennio. A Roma alcuni commercianti cercano sponda con le opposizioni e mettono all’indice alcune piste ciclabili realizzate per decongestionare importanti e storiche consolari? E la gente non molla mica, anzi rilancia. Lo dimostrano i dati vendita: il mercato della bicicletta porta numeri all’insù e la storia del bonus mobilità di cui solo in pochi sono riusciti ad usufruirne ha fatto incazzare tutti gli altri, che erano e rimangono migliaia. A boccasciutta. Da ultimo, occhio a una simpatica tendenza mostrata da alcune marche dell’automotive: proporre biciclette o monopattini elettrici per l’ultimo miglio. E’ un po’ come quando vuoi affacciarti alla finestra ma l’aria è rigidina e ci pensi due o tre volte. Ecco, la mobilità dolce è una ventata d’aria fresca che all’inizio spiazza un po’ tutti, ma poi, alla fine, ti fa respirare. Cacciando via lo smog.

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