I monopattini e le biciclette in sharing sul marciapiede mettono a rischio l’incolumità dei non vedenti. A lanciare l’allarme Mario Barbuto, il presidente dell’Unione Italiana Ciechi. «Negli ultimi 6 mesi solo tra Roma e Torino si sono verificati circa una decina di incidenti gravi, con ricorso a cure mediche, tra l’altro, per via di escoriazioni e lussazioni». Un problema che, numeri alla mano, solo nel nostro Paese riguarderebbe circa un milione e mezzo di persone se consideriamo il range che si estende dai non vedenti agli ipovedenti gravi.
Presidente, il suo collega della sezione di Torino ha dichiarato al quotidiano La Repubblica che con la diffusione di monopattini e biciclette in sharing si sono compiuti diversi passi indietro.
«Mesi fa anche noi a Roma abbiamo segnalato il problema alla Prefettura».
Un po’ complicato eliminare del tutto lo sharing dai marciapiedi, non trova?
«Io non credo che l’approccio sia quello di proibire o vietare, ma come sottolineato anche dalla nostra sezione di Torino la questione va regolamentata meglio e su scala nazionale. A partire dalle sanzioni verso chi si mette al di fuori della regola, così da disciplinare il settore».

All’atto pratico qual è il problema?
«In realtà i problemi sono tre: il primo è legato all’assoluta silenziosità del mezzo e in questo senso molti nostri iscritti hanno problemi nell’attraversare la strada o a camminare lungo i marciapiedi poiché rischiano di essere colpiti. Poi c’è l’indisciplina di chi guida: questi mezzi dovrebbero andare soltanto su apposite piste o corsie ciclabili, invece il più delle volte non lo fanno. Infine c’è l’abbandono selvaggio del mezzo, anche davanti a un locale pubblico o, peggio, di fronte alla fermata dell’autobus. Un autentico pericolo perché si inciampa».
Da questo punto di vista sono più ‘cattivi’ i monopattisti o i ciclomobilisti?
«Guardi, in questo momento mi riferisco esclusivamente ai monopattini, ma c’è una ragione: il ciclista è più predisposto alla disciplina, dettata da un uso antico del mezzo. Un ciclista che circola sul marciapiede perché non ci sono piste da utilizzare viene comunque mal visto anche dallo stesso pedone, quindi dalla cittadinanza».
Alla luce di questo non sarebbe il caso di dare un po’ di credito iniziale anche a chi gira in monopattino, così da farsi anche lui le ossa?
«Sì, è giustissimo, ma a patto che questo tempo venga accompagnato da iniziative promozionali, penso alle pubblicità progresso che invitino a non lasciare il monopattino davanti al bar».
Nel frattempo come ne usciamo?
«Guardi, di recente siamo stati contattati proprio da un paio di costruttori e distributori di monopattini: anche loro vogliono trovare una regolamentazione comune insieme a noi. E poi serve la rappresentanza tra le diverse organizzazioni, almeno quella dei ciclisti perché non mi risulta che esistano anche quelle di chi va in monopattino. Ma c’è anche un altro problema».
Cioè?
«Le istituzioni. Il vigile, ad esempio, non si deve voltare dall’altra parte. Il suo mestiere lo deve fare».
Quanto tempo ci vorrà per raggiungere una coesistenza felice tra non vedenti e mezzi di mobilità sostenibile?
«Mah, siamo appena agli inizi, intanto mi risulta che nel torinese siano stati già ipotizzati dei sistemi elettronici per disciplinare il parcheggio soltanto all’interno degli spazi riservati. Siamo all’embrione, ma mi sembra comunque un passo in avanti».