‘Monopattini pericolosi‘ non è solo una parola chiave per tentare di scalare la Serp di Google, ma anche un ossimoro. Gran parte degli amici ciclisti storceranno il naso, però quando si parla di questi mezzi di micromobilità non possiamo cavarcela sempre e comunque bollandoli come se parlassimo di Belzebù. La tragedia di Parigi, con l’investimento mortale della nostra povera Miriam ad opera di due ragazze (due!) a bordo di un monopattino dovrà pur insegnare qualcosa. Anche dal punto di vista mediatico.
I fatti (accertati). La ragazza, cameriera in un ristorante italiano di Parigi, passeggiava con un’amica sulle rive della Senna chiuse al traffico, all’altezza dell’Ile-de-la-Cité, quando è stata investita dal monopattino che – riferiscono persone vicine alla vittima – “andava a tutta velocità“. Miriam è finita a terra mentre le due ragazze si sono date alla fuga. La procura di Parigi ha aperto un’inchiesta per omicidio colposo aggravato dalla fuga e omissione di soccorso. La polizia ha lanciato un appello per ritrovare le due ragazze colpevoli dell’investimento. Un manifesto con l’appello è stato affisso lungo le rive della Senna, chiunque possa fornire notizie è invitato a farlo, ma si stanno utilizzando anche le immagini della videosorveglianza.
Brevi considerazioni. Non sarà certo l’autore di un blog giornalistico a spiegare come si danno le notizie a fior di colleghi specializzati sull’argomento, né come si carica o alleggerisce un titolo quando ci si imbatte in casi drammatici come questo. Però, dopo aver letto su diversi quotidiani on line e dopo aver ascoltato varie tesi su alcune emittenti nazionali, vorrei esprimere il mio punto di vista. Anche perché, a differenza di molti (non tutti) i commentatori che ho ascoltato in questi giorni, utilizzo sia un’ebike sia un monopattino elettrico, peraltro in una città caotica come Roma. Non mi colloco sopra agli altri, ma credo di avere un po’ di esperienza al riguardo.
Ebbene, a mio avviso il monopattino non è più pericoloso di un’auto o…udite udite.. di una bicicletta. Non è una provocazione, ma una constatazione. Non è forse un’ovvietà scrivere che il vero pericolo sta nella condotta del mezzo e non nel mezzo stesso? Io esco sempre indossando un gilet giallo autoriflettente, casco (ma qui si aprirebbero altri sottoargomenti riguardo la sua vera efficacia) e al tramonto accendo sempre le luci. Inoltre, cosa più importante: viaggio sempre da solo, non occupo mai il centro della corsia e non tiro il mono al limite, perché il sistema frenante non è così reattivo come quello di una bicicletta né come quello di uno scooter.
L’educazione stradale, una chimera. In parole povere, è la prevenzione del crash che fa la differenza, non il mezzo. Invece continuo a vedere orde di ragazzini, ma anche fior di professionisti over 30, incuranti dei pericoli che corrono per via della condotta scorretta. Portano spesso le cuffie, sono distratti, molti di loro girano in coppia (ma come si fa?!), sfrecciano lungo i marciapiedi o fanno slalom tra la gente nel bel mezzo di un’isola pedonale. Chi (non) gliel’ha detto che questo comportamento è sbagliato? Dove sono le scuole guida obbligatorie che dovrebbero favorire, armonizzare e garantire la convivenza tra i conducenti dei diversi mezzi di micro e macromobilità?
Perché, dico, perché si lascia ancora questo compito così gravoso e delicato a iniziative sporadiche? Da figlio di una storica impiegata del Ministero degli Interni sono cresciuto al Viminale, tra poliziotti in divisa e prefetti. Gente che aveva, che ha, a cuore le sorti di uno Stato con la ‘esse’ maiuscola. Ora leggo di alcune iniziative di educazione stradale promosse, appunto, dalla Polizia di Stato. Una gioia sapere che se ne occupino loro, ci mancherebbe pure, ma anche una preoccupazione perché tutto questo è ancora poco, troppo poco.
Allora istituiamo ore di lezione in classe, triangoliamo tra Forze dell’Ordine (tutte, inclusi i corpi di Polizia Locale) e autoscuole, facciamo sedere allo stesso tavolo automobilisti, ciclomobilisti, monopattisti e costruttori: lasciamo che si scornino tra loro, moderando, e poi troviamo insieme la quadra! Quindi adottiamo un protocollo unico, mettiamo a punto linee guida inequivocabili e ineludibili eppoi, soprattutto, comunichiamole come si deve. In tal senso bene l’azienda Link, che al di là della comunicazione sui numeri di flotta ci aggiorna costantemente anche sui corsi di guida sicura, in collaborazione con i centri di guida Aci-Sara. Si tratta di un primo passo che dovranno muovere anche gli altri competitors, con benefici per tutti.

Ma per piacere, evitiamo qualunquismi, evitiamo di bollare ogni mezzo diverso dall’automobile come fosse un pericolo soltanto perché sprovvisto di quattro ruote o di un abitacolo: proprio adesso che sta prendendo piede perfino l’assicurazione obbligatoria. Certo, affinché mono e bici vengano metabolizzati dalla massa servirà ancora del tempo, ma per favore ‘non buttiamola in caciara’.