Bagarre sulle piste ciclabili a Milano, come del resto un po’ in tutt’Italia, da alcuni giorni indigeste (così pare) a politici e commentatori illustri, eppure (al momento) necessarie per stimolare e intercettare la domanda di una nuova mobilità da parte di migliaia di persone che , loro sì, non ne possono più di stare ore e ore in auto nei grandi centri urbani.
L’ultimo a a tuonare contro le infrastrutture leggere è nientemeno che Vittorio Feltri, uomo e professionista intelligente (chiariamolo subito) le cui invettive spesso provocano reazioni di pancia iniziali salvo poi rivelarsi perlomeno meritorie di una seconda o terza riflessione in seguito.
Ebbene, il direttore editoriale del quotidiano Libero si candiderà al ruolo di consigliere comunale nel capoluogo meneghino guidando le fila di Fratelli d’Italia. Feltri ha spiegato di avere «soltanto un paio di obiettivi molto forti. Quello di eliminare le piste ciclabili che hanno paralizzato la città, di combattere i monopattini e cercare di restituire a Milano un’immagine anche esteriore che sia migliore di quella che è stata disegnata nell’ultimo anno e mezzo con il Covid».

Il Feltri-pensiero fa stracciare le vesti a parecchi di noi, soprattutto a chi pensa che le piste ciclabili, a Milano così come nel resto del Paese, salvaguardino l’incolumità di chi vive una vita a due ruote e anche di chi questa vita vorrebbe provare a viverla, ma non può perché ha paura di essere investito. Al Feltri-pensiero, tuttavia, si aggiunge anche quello di Gianni Bugno, uno che nella sua carriera ciclistica ha vinto praticamente tutto e, quindi, parla con cognizione di causa. Nel corso di una bella intervista al collega Antonio Ruzzo de Il Giornale non solo ha detto di non andare più in bicicletta, ma ha anche dichiarato che le piste ciclabili «sono dei ghetti per chi pedala e, per come sono fatte, per i ciclisti sono più pericolose delle strade normali».
Perché le piste ciclabili così non servono (Bugno-pensiero)
L’analisi del campione pluridecorato è impietosa, ma apre uno squarcio di verità sulla situazione in cui versa la nuova mobilità italiana. Eccola rappresentata in 3 punti.
- Sulle ciclabili ormai c’è di tutto: pedoni, mamme con le carrozzine, gente che passeggia, che porta a spasso il cane, che corre, auto posteggiate di traverso, furgoni che scaricano la merce e che aprono le porte all’improvviso.
- A Milano le nuove ciclabili sono state pensate male e disegnate peggio, senza parlare della manutenzione che spesso lascia a desiderare. Si fa fatica a percorrerle e obbligano chi pedala a gimcane assurde e poi sono strette e poco coordinate con l’hinterland.
- Le piste ciclabili così pensate non servono, creano solo confusione e tensioni. Bisogna ripensare il ruolo della bici, l’educazione stradale a cominciare dalle scuole insegnando ai ragazzi come ci si comporta in strada spiegando a chi deve prendere la patente come si supera una bicicletta. Che poi non si capisce perchè se una automobilista ha davanti a sè un trattore che va a 30 all’ora aspetta paziente che svolti e se invece ha un ciclista lo deve superare a tutti i costi suonando e arrabbiandosi.
In strada bici come auto ma solo se si rispettano limiti e condotte di guida
Sul Bugno e il Feltri-pensiero si può anche essere d’accordo, ma in Italia c’è una ‘quotidianità stradale’ che fa paura e che, purtroppo, fa da contrappeso anche a un ragionamento lucido come quello di equiparare le bici agli altri mezzi di locomozione . C’è poco da fare: se misuriamo la nostra statura per condotte di guida, considerazione e rispetto dell’utenza fragile…siamo piccoli piccoli. Alla voce incidenti stradali e vittime/feriti l’Italia è maglia nera da tempo immemorabile e non si vede luce in fondo al tunnel. Stando ai dati Asaps (Associazione Sostenitori e Amici della Polizia stradale) e al suo presidente Giordano Biserni che abbiamo ospitato proprio in diretta qui sul gruppo un po’ di tempo fa, il parallelo tra i mesi di giugno 2021 e giugno 2020 è impietoso.
Solo nel terzo fine settimana del mese si sono contati 590 incidenti rispetto ai 528 del 2020 (e ai 648 del 2019), con 14 vittime contro 16, mentre nel quarto week-end i sinistri sono stati 678 contro i 488 del 2020 (e i 681 del 2019), i feriti 480 contro i 333 scorsi e i decessi 13 invece di 11. Alla base di queste tragedie, naturalmente, troviamo sempre gli stessi elementi: velocità, mancato rispetto della segnaletica stradale e distrazione alla guida.
Tutto secondo copione: ‘passata la festa gabbato lo santo’, sconfitta (anche solo in parte) la paura del Covid siamo tornati a essere i poveracci (in strada) di sempre, facendoci la guerra tra di noi: come e più di prima.
Quindi, riflessione finale, pur comprendendo appieno lo spirito del Bugno-pensiero, ora come ora abolire le piste ciclabili (temporanee-pop up incluse) potrebbe essere ancora più rischioso che lasciarle in piedi. Oppure, volendo rovesciare a piramide il ragionamento, prima stanghiamo davvero di brutto chi infrange le regole, ‘rimandiamo a settembre’ con esami formativi la gran parte degli automobilisti italiani in circolazione, restringiamo a una corsia gli stradoni in città e dopo, appena il giorno dopo aver fatto questo, picconiamo pure i cordoli che delimitano le corsie ciclabili, abbattendo finalmente gli steccati che delimitano la nostra libertà.