Piste ciclabili, biciclette e monopattini. Con Aci servono tregua e visione

Non basterà più avere a portata di mano la mappa delle piste ciclabili di Milano e neppure quelle di Roma. Per biciclette muscolari, biciclette a pedalata assistita e monopattini elettrici, d’ora in avanti l’importante sarà dotarsi di un casco a prova di caduta e di un gilet giallo riflettente a prova di Mr. Magoo.

Basta farsi un giro in strada in questi giorni per rendersi conto che del clima da lockdown dei mesi scorsi ormai se ne sono perse le tracce: da una parte auto e scooter sono infatti tornati a sfrecciare come e forse ancora più di prima, mentre dall’altra ciclisti e monopattisti, pur moltiplicandosi rispetto a qualche mese fa, continuano a essere mal digeriti dalle quattro ruote e provano a conquistarsi sempre più spazi di quotidianità a loro rischio e pericolo. 

Siamo in guerra, altro che mero gioco tra le parti, e proprio in queste ore viviamo uno tra i momenti peggiori (e più bassi) del confronto per via della tensione che corre ad alto voltaggio tra l’ACI, l’Automobile Club Italiano e le associazioni ciclistiche di categoria

Il presidente dell’Automobile Club d’Italia, Angelo Sticchi Damiani, commentando la nuova proposta di riforma del codice della strada ha manifestato la sua contrarietà alla maggior parte dei provvedimenti che riguardano le biciclette e, più in generale, il mondo della mobilità dolce. “Restiamo fermamente contrari alle bici contromano e alla possibilità che possano transitare sulle corsie riservate al trasporto pubblico”, ha detto Sticchi Damiani, parlando di pratiche assai pericolose da portare avanti. Aci, a cui naturalmente abbiamo chiesto se volesse avere un confronto con le associazioni senza però ottenere al momento risposta, parla di vera e propria deregulation. Sembrerebbe che in città basti imporre il limite di 30 km/h e la bicicletta possa fare tutto: avere la precedenza su tutti, procedere in senso di marcia opposto a quello dei veicoli, andare appaiati e magari sorpassare. Questa sorta di “deregulation” della mobilità ciclabile ha un forte effetto diseducativo: alle biciclette tutto è permesso e, per conseguenza, anche ai monopattini elettrici, che sono equiparati ai velocipedi, mentre è evidente che, nella mobilità metropolitana, l’anarchia non va assolutamente d’accordo con la sicurezza stradale.

Frasi forti, ma il bello è arrivato con il passaggio sui limiti di velocità. “In certi tratti – ha commentato il numero uno di Aci –  è facile sforare i limiti senza particolari pericoli. Ora per favorire le bici e monopattini potrebbero proliferare zone 30 e si  rischia di multare tanta gente che va solo a 40”.

Tanto tuonò che piovve. Ben 30 associazioni e realtà di base impegnate nella mobilità dolce e nelle politiche ambientali hanno subito chiesto le sue dimissioni, definendo la presa di posizione “un insulto nei confronti delle vittime della strada”. La richiesta, firmata tra gli altri da Kyoto Club, Legambiente, Fiab, Associazione italiana vittime della strada, Fondazione Michele Scarponi, Salvaiciclisti, le due Consulte ciclabilità di Bologna e Torino, è stata indirizzata al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e ai ministri competenti.

Ora, ad analizzare il contenuto del provvedimento, sul quale peraltro il presidente della Repubblica Sergio Mattarella l’11 settembre scorso aveva mosso rilievi formali ritenendo  la modifica di alcune norme del Codice della Strada non attinenti con la legge di conversione del Decreto Semplificazioni in cui esse sono state inserite, si tirano comunque fuori poche novità. 

Tra queste senz’altro l’introduzione della corsia ciclabile per realizzare il doppio senso ciclistico, ovvero una corsia su strada a senso unico che consenta ai ciclisti di muoversi nel senso di marcia opposto a quello delle auto.  Bene poi l’idea di blindare la cosiddetta ‘strada scolastica‘ e quella ‘ciclabile’, mettendo pressing per la loro realizzazione in modo più semplificato da qui in avanti. Quindi il punto sugli autovelox in molte strade, un provvedimento che vorrebbe scongiurare gli eccessi di velocità in punti delicati sparsi un po’ ovunque, non solo su grandi arterie. Al momento, però, ci sono criteri generici e non un chiaro.. ‘facciamo così e basta’.

Come al solito, dal nostro piccolo osservatorio e da appassionati della materia, ci limitiamo ad augurarci che queste fratture si possano ricomporre e che torni presto il buonsenso, non un ‘muro contro muro’. La ricetta di un possibile compromesso storico tra due e quattro ruote passa attraverso un confronto, non il solito scontro, tra le parti. Al momento, però, occupandoci di vita a due ruote, non possiamo non registrare le attuali asimmetrie che corrono (in tutti i sensi) tra l’automotive e il resto del mondo. Troppe le auto in città e ancora pochi, troppo pochi gli investimenti nel trasporto pubblico. Ci si deve proteggere dal Covid? E allora si sforzi al massimo la macchina pubblica mista al privato e si implementi l’offerta di treni regionali, autobus e metro, mettendo sempre più in difficoltà chi non intende proprio rinunciare all’auto per andare in ufficio o per altri motivi. Come? Attraverso la commutazione/integrazione con la bici a pedalata assistita e il monopattino elettrico: perché no? Infine, cercare sempre più intesa proprio con i nuovi ‘carriers’, i fornitori di servizi in sharing, per coprire una quota parte del costo di eventuali abbonamenti e rendere finalmente competitivi tutti i mezzi di mobilità dolce. Altro che muro contro muro: qui serve visione, logica e buon senso. Un Piano Marshall: come nell’immediato dopoguerra.       

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