Sicurezza stradale, il metro e mezzo che ci separa dalla civiltà

Sicurezza stradale ancora in primo piano, dopo che Mauro Berruto, già Commissario Tecnico della Nazionale maschile di pallavolo, commentatore Rai ma soprattutto attuale deputato del Partito Democratico, proprio alla Camera ha parlato della proposta di legge sul metro e mezzo di distanza adeguato al sorpasso di un ciclista da parte di un’autovettura o di un altro mezzo di trasporto.

In circa due minuti di intervento l’onorevole Berruto non l’ha toccata affatto piano. «Un aeroplano pieno di persone ogni anno, inesorabilmente, si schianta nel nostro Paese: è pieno di ciclisti. Dal 2018 oltre millecento morti, in media oltre 225 morti all’anno…». Se è vero che l’attenzione del lettore sta tutta nell’attacco del pezzo.. immaginiamo che sarete con le orecchie ‘appizzate’.

Il dato è raccapricciante, ma la tendenza a ignorarlo, a mio avviso, lo è ancora di più. Ascoltate l’intervento di Mauro Berruto riportato qui sopra. Soprattutto perché sdogana subito il fatto che tutte queste vittime siano cadute nel corso di allenamenti professionistici. Il che, anche se fosse, sarebbe un dramma lo stesso. Invece no: tra le vittime  troviamo «pensionati, ragazzi che andavano a scuola, bambini. E una mattanza!». E tocca tutti. Punto.

Nonostante i numeri rischia di finire tutto nel dimenticatoio

Il Berruto-pensiero è suffragato da numeri impietosi: «In Italia quando va bene un ciclista muore investito ogni due giorni». Capito l’antifona? Come potersi ancora voltare dall’altra parte? Ok, si parte dalle vittime cadute nell’ambito dello sport: Michele Scarponi e Davide Rebellin, ma cosa importa, maledizione? Come ho già scritto giorni fa nel corso della mia breve riflessione sul Gruppo Facebook Vita a Due ruote, si tratta di autentici martirìì che, purtroppo (non certo per fortuna) metteranno in moto quel meccanismo di mutuo soccorso iniziale da parte dello Stato e dell’opinione pubblica. Una sorta di ‘Diamine, accidenti!’. Ma, temo, servirà a ben poco.

L’opinione pubblica, aggiungo adesso qui sul mio blog, sarà infatti pronta a scandalizzarsi (del resto…come potersi voltare appunto dall’altra parte?), salvo poi dimenticarsi di questo tema nel giro di qualche giorno. Sì, funziona così..e la stampa, piaccia o no, ha colpe solo a metà. L’agenda setting dei media ha l’obbligo di scattare la foto al flusso di informazioni (gate) che passa di continuo: quello delle due ruote lente è solo un momento, uno soltanto. Facciamocene tutti una ragione e non illudiamoci: a non modificare lo status quo, siatene sempre certi, saranno soprattutto i nostri comportamenti individuali alla guida del mezzo. Null’altro.

Perché cambierà poco. Disfattismo per accalappiare qualche click in più? Un corno! Vogliamo per caso contare i ribaltamenti di auto in città o le mattanze stradali ‘occorse’ (siamo aulici, dai, badiamo ancora al barocco!) ai nostri poveri ragazzi diversi giorni dopo la morte di Davide Rebellin?

In genere quando si verifica una catastrofe.. perlomeno all’inizio c’è quella tiepidezza, quel timore latente che ci suggerisce di prendere quantomeno un minimo di precauzione nel corso della nostra quotidianità. Quella ‘vocina’ con cui conviviamo ogni giorno e che ci mette in guardia dai rischi quando usciamo di casa. Ebbene, a leggere le cronache attuali, da queste stragi (ancora troppo)  silenziose continuiamo a non imparare nulla.

Prendete un giorno qualunque all’ingresso di una scuola elementare. Osservate quanti piccoli miracoli si compiono tutte le volte: mamme e papà che arrivano a velocità ‘sparata’, sparatissima, con i loro mezzi perché sono in ritardo già dalle prime ore del mattino. Stragi o ferimenti evitati per un soffio, altroché.

La giornata tipo? Basta googlare ‘incidente stradale’

Prendete una giornata tipo all’infuori dello psicodramma (tutto italiano) da accompagnamento o ritiro a scuola. Nella stringa di ricerca di Google digitate ‘incidente stradale’ e guardate che succede.

Fate la prova del nove quando vorrete, vi accorgerete che ogni giorno è buono per morire sulla strada! In buona sostanza, senza che continuo ad ammorbarvi: non c’è freno adesso, a caldo, figuriamoci tra qualche settimana.

Un metro e mezzo di speranza

E allora ci si aggrappa (disperatamente) alla bravura di Mauro Berruto, uomo illuminato. Un uomo di sport oltreché di comunicazione, eletto Deputato all’interno di un partito che potrebbe davvero trovare la sua catarsi proprio attraverso una battaglia sacrosanta in difesa di ciclisti e ciclomobilisti.

Berruto ci ricorda la battaglia portata avanti da varie associazioni, tra cui l’ACCPI, il CPA, “Zerosbattiinbici” (creata dall’Avvocato Federico Balconi), “Io Rispetto il Ciclista” di Marco Cavorso, e dalla Fondazione Michele Scarponi su impulso del fratello Marco. Per la cronaca: questi ultimi tre (i due ‘Marchi’ di qualità e l’avvocato Federico Balconi) sono già stati ospitati diverse volte all’interno di #Opinionincluse, rubrica streaming in onda proprio su questo blog.

La battaglia del metro e mezzo è stata ingaggiata da tempo ma non è stata ancora vinta.Tempo fa, in proposito, fu stata inviata una lettera al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato. Un documento firmato da molti rappresentanti dello sport, con la richiesta di modifica del  Codice della Strada, in cui su preveda l’obbligo del metro e mezzo nel sorpassare una bicicletta. E’ una regola che esiste già in diversi Paesi europei, dannazione: perché non metterla in pratica anche noi?

L’opinione pubblica però già si divide. Fatevi un giretto sui social e leggerete diversi commenti negativi. Da una parte troviamo chi pedala tutti i giorni, chi vorrebbe farlo ma ha il terrore di mettersi in strada in questo modo. Poi ci sono i.. creativi. Vi riporto alcuni loro commenti: si va dal ‘non si può fare perché sulle nostre strade manca lo spazio necessario‘, al sempiterno ‘i ciclisti pedalino sulle piste ciclabili o nei parchi‘.

Poi c’è la quotidianità, la vita di tutti i giorni, di chi popola quell’aereo «pieno di persone», che una buona volta vorrebbe poter atterrare e decollare come gli altri: in sicurezza.

 

 

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